Un socievole sociopatico

Recentemente parlando con alcuni nuovi membri dell’ufficio nel quale
abitualmente lavoro mi hanno definito come da titolo di questo post.

Per dirla tutta la definizione andrebbe composta in questo modo, la parte finale è un
autoattribuzione mentre la parte iniziale è la definizione che mi hanno attribuito.

Ora io mi sono definito “sociopatico” con un intento scherzoso di quelli che contengono sempre una buona dose di verità, che viene appunto mascherata o facilitata nella digestione dal contribuito che fornisce il contorno ironico debitamente costruito.

Si perchè di fatto io mi ritengo sociopatico nel momento in cui affermo di stare bene da solo o con compagnie ristrette, già due persone oltre a me rappresentano il mio limite di “confort”.

Però presa singolarmente ogni persona io non mi sento sociopatico, nel senso che con ogni persona di quelle che potrei escludere se prese in gruppo io mi posso trovare bene e solitamente riscontro diversi argomenti di discussione, senza rischiare di stare in silenzio senza niente da dire, condizione nella quale non mi ritrovo quasi mai.

Quindi è vero che io non amo il chaos ne le situazioni in cui ci sono molte persone che vivono e condividono un area ristretta, è vero che mi piace il silenzio ed interagire con poche persone alla volta perchè sono le condizioni in cui meno si genera il chaos…

quindi dev’essere anche abbastanza vero che posso o possono definirmi sociopatico, però al tempo stesso sono una persona socievole, nel senso che mi ritengo una persona educata con cui si può parlare di diversi argomenti senza problemi preventivi.

Ciò che ho notato in questi anni è che le persone prese singolarmente oppure in gruppo troppo spesso cambiano i loro atteggiamenti se non che anche i loro pensieri e di conseguenza per me che sono abituato ad osservare molto a cercare molto tra le righe del mio interlocutore la condizioni in cui ci sono troppe cose da vedere mi mettono a disagio.
Non ho ancora capito se l’ostacolo maggiore sia il cambiamento appunto delle persone stesse oppure il mio nei confronti del contesto, ci sto ancora lavorando su, probabilmente il disagio riguarda entrambe le condizioni.

Fatto sta che da un bel po di anni ho deciso, dove possibile, di vivere i miei rapporti con le persone limitandoli alle occasioni in cui appunto venga verificata la condizione dove ci siamo io e al massimo altre due o tre persone contemporanee (anche se una è e rimane la mia condizione ideale).
Ovviamente non è una condizione di out-out ma di preferenza, cioè preferisco (se posso scegliere) trovarmi nelle condizioni in cui una persona si sente più libera di essere se stessa rispetto a quelle in cui si sente più in dovere di rispettare determinati canoni.
Detto questo non ricordo più dove voleva arrivare questo post, ma visto che ormai ho scritto diverse righe mi dispiacerebbe lasciarle cadere nel vuoto quindi lo pubblico così, come destino mi ha fatto scrivere, come destino mi ha portato a dimenticare..

socievolmente vostro… 😛

21 pensieri riguardo “Un socievole sociopatico”

  1. Io, quando il numero dei presenti aumenta, inizio a trovarmi in imbarazzo, anche se conosco tutti e vado d’accordo con tutti.
    Non so da cosa possa dipendere, ero così anche da ragazzo. Nel caso di feste o serate particolari (tipo ultimo dell’anno) preferivo starmene in disparte e magari chiaccherare con pochi che la pensavano come me. Ma non per questo disdegno stare in mezzo alla gente: stadio e concerti per me sono ambienti molto familiari, ma è il rapporto con le altre persone che cambia.
    Sociopatico? Non saprei, forse sono solo un po’ strano.

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    1. mi piace questa definizione, ma per riassumerla serve un termine, altrimenti si corre il rischio che la massa non arrivi alla fine della descrizione con lucidità mentale..

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  2. Definizione in cui anche io mi ritrovo…in un gruppo, più è numeroso, meno puoi fare selezione, perchè il numero tende ad alterare il carattere delle persone ed esaltare solo il loro ego. In gruppo sono più osservatore e se c’è qualcuno che osserva come me, allora vale la pena di approfondire…

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  3. Abbiamo dei tratti in comune… io vivo il contrasto di queste situazioni durante le trasferte di lavoro. Alcuni pretenderebbero sempre l’uscita collettiva. Io sono molto bravo a prevedere il taglio della serata, secondo la compagnia e quindi con l’esperienza riesco sempre a schierare la formazione migliore, dove io stesso mi esprimo meglio e posso essere me stesso, senza urtare alcuno o senza doverlo sopportare. Io sto bene sempre ma devo essere autonomo e svincolato dagli altri purché non siano miei uomini di fiducia!

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